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Scrivi come mangi

Immaginate di andare a cena in un nuovo ristorante e di leggere sul menu:

“zuppa d’agosto con pallottine di broccoli e latte esotico”.

Avete più opzioni:

  1. chiedere delucidazioni al cameriere,
  2. ordinare altro,
  3. prendere in giro il cameriere chiedendogli dove si possano lanciare le “pallottine”

Presumo che la reazione più frequente sia la prima, ma se il ristorante fosse pieno e i camerieri affannati e indaffarati, probabilmente passerete a ordinare altro..

Ad ogni modo, i piatti non comprensibili in menu risultano statisticamente i meno ordinati, con ripercussioni negative sul bilancio. Se infatti il piatto citato fosse il più remunerativo in lista, usare una dicitura criptica per descriverlo equivarrebbe a sabotarlo.  

È giusto usare un po’ di poesia in menu, ma il rischio, per molti, è di non riuscire a dosare bene un lessico suggestivo, penalizzandone la comprensione.

Il piatto dell’esempio, magari, è una zuppa di granchio con latte di cocco e polpette di broccoli, quindi perché non chiamarlo:

Zuppa di granchio con latte di cocco e polpette di broccoli” ?

Un menu che non sia solo un catalogo divulgativo, ma un vero e proprio strumento di marketing, dovrà risultare innanzitutto convincente e rassicurante, non solo per il numero di piatti in lista e per la congruità dei prezzi, ma anche per l’esplicazione chiara degli ingredienti e l’adeguatezza del linguaggio.

Oggi gli ospiti esigono l’esplicitazione degli ingredienti, il che è giusto e funzionale, a patto che non si esageri con descrizioni troppo dettagliate che appesantiscano il menu, ad esempio indicando la provenienza di ogni singolo ingrediente, come ad es:

“Spaghetti grossi Rummo, pomodorini del piennolo vesuviano, pecorino stagionato Fior di Monte e basilico dell’orto” 

Questo tipo d’informazioni sull’origine degli ingredienti ne rallenta la lettura, dando riferimenti sconosciuti ai più.. e che possono, comunque, sempre essere forniti dal personale di sala dietro espressa richiesta..

Il linguaggio da usare, pertanto, deve mirare a informare l’ospite senza stancarlo e, quindi, prevedere messaggi chiari ed essenziali, pur con quel tanto di appeal che renda invitanti e desiderabili i piatti proposti.

L’equilibrio consiglia un minimo di originalità, ma è auspicabile non esagerare con la ridondanza dei nomi, usando preziosismi linguistici che rasentino il ridicolo: “confidenze dell’orto raccolte in coccio”… c’mon..!!

Tali abusi possono far sentire l’ospite inadeguato e quindi scoraggiarlo dal tornare..

Immaginate chi non frequenta solitamente ristoranti di fine dining, ma che in una delle sue rare uscite si trovi davanti un menu con questo tipo di descrizione:

“Magret de canard, chutney di rabarbaro e gel di sauternes”.

L’ospite, non riuscendo a capire ciò che sta per ordinare, potrebbe sentirsi fuori posto e avvertire la spiacevole sensazione di non appartenere a quel tipo di ambiente.

Probabilmente non vi farà più ritorno.. 

Ma anche nel caso di avventori non occasionali, più spesso di quanto si immagini, molti evitano di chiedere ragguagli su ciò che non comprendono, per timore di ignorare qualcosa di scontato e quindi di sfigurare di fronte agli altri commensali..

Quando francesismi e altri termini stranieri sono disseminati largamente in un menu, solo perché finalizzati a dare un tono al locale, possono risultare inutilmente fastidiosi e in taluni casi incomprensibili. 

Se ne consiglia l’uso solo là dove non esista traduzione efficace, oppure perché radicati, ormai, nella cultura e tradizione culinaria (ad esempio mousse, crêpe, flambé, etc..), o perché riferiti a specifici cibi di taluni paesi (sushi, sashimi, cous cous, moussaka, etc..).

Insopportabili a molti, e soprattutto al sottoscritto, risultano i vezzeggiativi e diminuitivi: termini come insalatina, carotina, oltre che leziosi denotano una certa insicurezza, quasi si trattasse di alimenti non degni del loro nome assoluto.

L’articolo determinativo può ottenere effetti opposti a seconda dell’uso che se ne fa.

Se posto davanti al nome di un piatto può riflettere la superbia dello Chef, quasi che egli si arroghi la paternità assoluta di un piatto comune, o come se fosse l’unico in grado di prepararlo: La Carbonara, L’ Amatriciana..

Inoltre frena l’agilità di lettura. Si noti, ad esempio, la differenza di snellezza nel leggere:

“risotto allo zafferano, ginepro e liquirizia”

anziché

il risotto allo zafferano, ginepro e liquirizia”

o peggio ancora 

il risotto allo zafferano con il ginepro e la liquirizia”

Diverso risulta, invece, l’uso dell’articolo determinativo per introdurre le categorie di pasti:

“Gli antipasti.
I primi piatti.
I secondi di carne.
I secondi di pesce.
I formaggi.
La frutta.
I dolci.”

Bartezzaghi nel suo libro “Come dire” scrive e illumina:

Solo un dettaglio, infatti, separa il titoletto “Antipasti” dal titoletto “Gli antipasti”: ma in quel dettaglio c’è un mondo, anzi un universo della precisione,…..
Antipasti: sa di pigrizia, guarda un po’ che c’è in frigo, ma si, mettiamoci anche le scaglie di parmigiano e crepi l’avarizia. Gli antipasti: sono proprio quelli, gli antipasti che potete desiderare, un assortimento che sa riscoprire degnamente la nozione nobile di “antipasto”.

Attenzione particolare va rivolta alla scelta di taluni termini che, se usati strategicamente, hanno, oltre alla funzione descrittiva, anche un potere attrattivo e rassicurante:

bio, biologico, organic (esclusivamente in inglese, da non confondere con “organico”): usati accanto a nomi di ingredienti coltivati in assenza di additivi chimici;

casereccio, fatto in casa, home made: costituiscono un valore aggiunto e descrivono un prodotto non acquistato o industriale;

fresco, di giornata: garantiscono che il piatto è costituito da alimenti non inscatolati, precotti, congelati, surgelati o che abbiano subito procedure di conservazione;

a Km zero, Km 0, chilometro zero: riferiti a prodotti provenienti dall’area circostante e che, spesso, sono espressione del territorio d’appartenenza;

Anche l’aggettivopossessivo nostro, nostri ha un forte messaggio rassicurante.. sa di casereccio. Si consiglia di non usarli troppo spesso, ma solo per qualche categoria, tipo I nostri primi, I nostri dessert.

I puntini di sospensione, usati con parsimonia e al posto giusto, possono tornare utili se diventano intriganti allusioni:

Per esempio:
Andiamo a incominciare…
Non solo pizza…

I… nostri dolci

Gli stuzzichini che… sfiziano

L’ultimo buchino
… E per digerire…

I tre punti di sospensione servono per alludere: dire che qualcosa c’è, ma non dire cosa. Sono essi stessi stuzzicanti…

(Bartezzaghi “Come dire”)

Quanto detto finora è finalizzato a informare e, allo stesso tempo, a stimolare l’appetito di chi legge. 

Importante, dunque, è l’onestà delle informazioni e un uso parsimonioso e corretto dei vocaboli chiave e degli accorgimenti linguistici strategici.

Se si scrive “ristretto di barolo” bisogna essere sicuri che il vino usato sia effettivamente barolo e non altro, innanzitutto perché prima o poi qualcuno potrebbe accorgersi dell’inganno, ma soprattutto perché, se non si ha rispetto per l’ospite, non si ha rispetto per il proprio lavoro..

Al di là o a supporto di quanto detto finora, il consiglio migliore per chi si cimenti nella descrizione di un menu, è quello di ispirarsi ai migliori.

Provate a dare un’occhiata a quello di Heinz Beck alla Pergola..

Nella categoria antipasti troverete:

Crudo di gamberi rossi e pesce San Pietro su crema di grana padano

Carpaccio di scampi con caviale ed erba cipollina

Ricciola marinata allo yuzu e lemongrass su guacamole con macaron di soia

Fegato grasso d’anatra su cremoso di pere, noci e infuso di camomilla

Gnocco d’uovo su composizione di asparagi, piselli, fave e capesante con tartufo nero

Tonno ai profumi Mediterranei

La semplicità è disarmante, non lascia dubbi su ciò che si ordina, senza rinunciare ad un certo charme..

Da notare anche il perfetto uso di maiuscole, congiunzioni e preposizioni, tutte funzionali e rispettose della lingua (se poi pensate che è stato scritto da un tedesco.. non ci resta che piangere..).

Un po’ di dubbi potrebbe crearli il terzo antipasto con le parole yuzu, guacamole e macaron, ma si tratta di termini forse insostituibili:

lo yuzu è un frutto asiatico, ha il colore del limone e la forma e la grandezza di un mandarino e non ha termini corrispettivi in italiano.

Guacamole è il nome della famosissima salsa d’avocado messicana e macaron è l’ancor più famoso pasticcino francese sempre più presente anche nelle nostre vetrine. 

Sono termini non sostituibili ma riconoscibili, e, seppur nomi propri, sono talmente radicati nella cultura culinaria che vanno trattati, in menu, come nomi comuni e quindi senza maiuscole.

(Comunque una piccola imperfezione nell’estratto del menu c’è, provate a trovarla..).

Diverso è lo stile del menu degustazione

Solitamente questo menu consiste in una serie definita di assaggi che esprimono il meglio della storia, del percorso e della sensibilità dello chef. 

Il menu degustazione può essere misterioso, anche incomprensibile. Potrebbe persino non essere descritto affatto!

Chi lo ordina, infatti, si affida all’esperienza e al talento dello chef ..completamente!

Quindi, il suo stile, piuttosto che ad informare, deve mirare ad invogliare, suggestionare, ammaliare, ingolosire e addirittura, perché no, a sognare..!

L’attenzione all’uso delle preposizioni viene spesso sottovalutata, rischiando di descrivere altro da ciò che s’intende:

Leggendo “crema di vaniglia e lamponi” ci si aspetta una crema dal colore rosa al gusto di vaniglia e lamponi, mentre “crema di vaniglia con lamponi” descrive una crema al gusto di vaniglia servita con lamponi freschi interi..

La semplice preposizione “con”, al posto della congiunzione “e”, muta l’immagine del piatto che si visualizza nel momento in cui se ne legge la descrizione, e la discrepanza tra l’aspettativa e la realtà, specialmente in alcuni ambienti, non viene tollerata..

Strutturare e comporre un menu, dunque, non è affatto semplice.

E linguaggio e lessico sono solo una goccia in un oceano di argomenti da affrontare con competenza.

Tra gli altri, per quanto riguarda il solo aspetto grafico, bisogna porre attenzione al formato, al tipo di carta da usare per gli inserti, alla copertina (materiale, peso, immagine, colore, praticità), al grado di armonia con il concept del locale.. ai punti di focus del menu (hot spots).

E poi, come e dove vanno indicati i prezzi per meglio astrarli e ridurre il timore del conto?

E, per quanto riguarda i contenuti, il discorso diventa ancor più complesso: chi sono i miei clienti

Qual è la loro età e che attività svolgono? 

Quali sono i loro bisogni? 

Cosa detestano? 

Quali sono le loro abitudini culinarie?

Quanto spendono mediamente al ristorante?

E quanto tempo desiderano fermarsi a tavola? In quale fascia oraria?

Hanno necessità di diete specifiche (salutiste, vegane, per celiaci)?

Cosa offre già il mercato

Quali sono i punti di forza e di debolezza dei competitors?

Che tipo di cucina proporre?

Quali categorie di piatti rappresentare in menu? (ad es. c’è bisogno delle categorie “insalate” e “zuppe”?)

Quanti piatti bisogna offrire per categoria?

Come conciliare le esigenze del mercato con la cucina dello Chef?

Che prezzi usare? Esiste un utile formulario? O sarebbe meglio procedere in analogia col mercato?

Eppure, credetemi, tutto quanto citato resta solo una parte di ciò che bisogna affrontare per realizzare un menu che risulti chiaro, equilibrato, accattivante, rassicurante e altamente remunerativo.

Solo in tal modo si potrà realizzare “Lo” strumento che vi permetterà di attrarre più gente (invogliandola a venire già solo dopo averlo letto in rete o dal fronte strada), di aumentare il profitto (tramite l’analisi trimestrale Menu Engineering), di lavorare meglio (ad es. un linguaggio chiaro fa risparmiare tempo ai camerieri…), e di evitare che qualche ospite vi chiami a tavola per chiedervi se il salmone descritto “adagiato su letto di patate” si senta un po’ stanco…