Un dibattito al quale mi piace partecipare ultimamente è quello sui ristoranti “child free”.
Ovvero ristoranti, ma anche hotel, resort, caffetterie, navi da crociera, e addirittura appartamenti (!) etc., che vietano l’ingresso ai bambini.
Non sono pochi gli articoli e i forum che trattano l’argomento e la reazione di chi è contro tale divieto assume, in Italia, toni furiosi perché molte mamme si sentono fortemente discriminate.
Operando anch’io nel mondo della ristorazione, mi è finora risultato naturale analizzare innanzitutto il punto di vista del ristoratore.
Qualsiasi entrepreneur di successo sa che alla base di ogni idea di business si deve compiere una scelta, ovvero a chi destinare i propri prodotti o servizi.
Ad esempio, proprio nel caso di una restaurant start up, bisognerà chiedersi a quale fetta di mercato, presente nell’area dove sarà situato il locale, si vuole puntare. Il business concept in questione, ad esempio, è rivolto a turisti stranieri o a chi lavora in ufficio? Ai residenti o agli studenti? Al business o al leasure diner? E così via..
Il ristoratore che non si pone tali vitali domande è destinato ad offrire un prodotto che non lo differenzierà dai competitors, che lo costringerà a lavorare con prezzi bassi per arrivare, infine, all’inevitabile fallimento..
Ovviamente le categorie alle quali non si è particolarmente interessati non verranno (tutte) discriminate, anzi.. ma la tipologia di clientela alla quale si punta andrà a determinare le scelte di menu, prezzi, orari, arredo etc. ai fini della fidelizzazione e quindi della sostenibilità economica.
Ma la categoria bambini potrebbe spaventare qualche tipologia di cliente e quindi minarne la fidelizzazione?
La risposta è si.
Immaginiamo una clientela business, che vive il pranzo o come pausa dal lavoro o come momento di lavoro; in entrambi i casi essa non gradisce la presenza di famiglie con bambini perché oggettivi elementi di disturbo..
Il ristoratore interessato, a mio avviso, ha ragione di temere la presenza dei piccoli avventori, perché potrebbero in poco tempo allontanare la sua clientela di riferimento e uccidere il proprio business..
Difficile da credere, vero? Specialmente se chi legge è una mamma, avrà difficoltà a immaginare che il proprio dolce e innocuo pargoletto possa non ispirare simpatia in chiunque lo incontri, figuriamoci se possa mai arrivare a scoraggiare qualcuno dal frequentare quel ristorante. Sembra che i bambini debbano per forza di natura piacere a tutti!
Beh, conosco non poche persone che non si siederebbero mai vicino a un tavolo con bambini, né a colazione, né a pranzo, né a cena. Sono le stesse persone che in aereo o in treno chiedono di cambiare posto in caso di vicini under 12, che non andrebbero mai a vedere un film di Miyazaki al cinema prima delle 22:00, e che scelgono, addirittura, di non avere figli! Chi lo avrebbe mai pensato..?
Ora veniamo all’elemento più delicato: è discriminante vietare l’ingresso a famiglie con bambini?
In teoria si, semplicemente perché un’attività ristorativa o ricettiva resta un esercizio pubblico.
Ma nella pratica?
Immaginiamo un altro scenario: il gestore di un bar cosa fa o dovrebbe fare in presenza di un ubriaco molesto? Innanzitutto non servirgli più da bere e, con tutto il tatto che il caso richiede, accompagnarlo alla porta.
Agli occhi di un ristoratore e a quelli di una clientela “not-so-much-child-frendly”, i bambini rappresentano la stessa imprevedibilità di un ubriaco, la stessa mancanza di autocontrollo, la stessa difficoltà nel gestire una qualsiasi crisi o capriccio. Dunque, perché rischiare? Più semplice, per i clienti, pasteggiare altrove..
Infine, prendiamo in esame le famiglie.
Immaginiamo una mamma con piccolo al seguito, dopo una bella passeggiata entrambi, felicemente stanchi e affamati, giungono all’entrata di un ristorante che sembra fare al loro caso; ma all’entrata un avviso comunica che il bambino non è il benvenuto..
La sensazione di discriminazione, umiliazione o rabbia è comprensibile e condivisibile..
Ma se fossi lì, a quella mamma mi sentirei di dire che per ogni ristorante “child free” ne esiste più di uno “family friendly”..
E ciò avviene per le stesse e identiche dinamiche di mercato: dove c’è un bisogno nasce un’opportunità di business.. Le realtà aperte alle famiglie, infatti, sono tantissime e in numero di molto maggiore rispetto al child free dining.
Hanno servizi, pasti e interi menu (prezzi compresi) dedicati, spazi per passeggini, tovagliette da colorare e altri particolari ispirati al mondo dell’infanzia..
Perché, dunque, accanirsi nei confronti di quei pochissimi ristoranti al servizio della “controparte” minoritaria?
Post scriptum: se siete voi stessi ristoratori e sentite l’esigenza di gestire il vostro spazio in modalità “NO KIDS ZONE”, ma senza voler essere troppo espliciti al riguardo con un vero e proprio divieto all’entrata, potete sempre fare come il mio amico chef Donato, che quando al porta del suo locale si affaccia un avventore con tre bambini al seguito, che nemmeno saluta e chiede: “In questo locale si paga molto?” risponde “Si, si, moltissimo! Io stesso qui non metterei mai piede!”
E l’avventore, lungi dal sentirsi discriminato, ringrazia persino (!) prima di allontanarsi, convinto di essere un vero e proprio professional tourist..